mercoledì 27 aprile 2011

XVII -3 maggio ANNO 2011 Conferenza stampa e istituzione Blog


Giorno 28 Aprile 2011, nei locali di Villa Savoia, si è tenuta la conferenza stampa per presentare la Festa del SS. Crocifisso ed il Programma annuale:

Avere istituzionalizzato un Blog sulla Festa del SS. Crocifisso, certamente contribuirà a divulgare maggiormente la conoscenza delle tradizioni popolari e religiose  di Monreale, in Sicilia in Italia e nel mondo.

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Presentazione del
  BLOG SULLA FESTA DEL CROCIFISSO ( Home page)



                                                

      

Il Palazzo di Città addobbato per la festa tradizionale
















































martedì 26 aprile 2011

XI -La FESTA descritta da Giuseppe PITRE'

Alla fine delll'800 Giuseppe Pitrè, con l'animo dello studioso del folklore, così descrive quanto avviene durante la festa del 3 maggio. Ancora oggi vale quanto descritto da questo studioso, tranne per l'usanza dello strascico della lingua e per quella di recare la tovaglia del Crocifisso in casa dei malati.

La Festa
La discesa del Crocifisso
  
   Il dì 3 Maggio del 1898 dunque, nelle prime ore del pomeriggio, io mi recai a Monreale. Era il terzo giorno della festa, e si parlava con vantaggio e con calore delle corse dei primi due giorni. Il palio era stato vinto da cavalli paesani. Un bardaloro poi era corso come una pima, veloce come il vento e s'era lasciati addietro non so quanti passi tutti glialtri. La banda paesana avea dato prova di grande abilità con certi pezzi bene studiati e meglio eseguiti, e quando quella di P. Don Giovanni, una banda istituita e diretta da un sacerdote della borgata di Malaspina in Palermo, fece la sua entrata chiassosa e le sue prove qua e là per le strade, nessuno ne rimase impressionato, perchè, a buoni conti, la musica cittadina non resta addietro ad altre di una certa reputazione.
   Non si parla dei tamburini, che avevano sonato a perdibraccia, non della illuminazione alla veneziana, che era pittoresca, nè tampoco del Vespro della sera precedente e del panegerico della mattina, che era stato un vero capolavoro. I vecchi non ricordavano discorso più dotto da oltre vent'anni, e le donnicciuole, che avevano guardato sempre un pò il predicatore, un pò le persone più sapute della chiesa, n'erano uscite ripetendo: chi beddu riri! Chi gran panagiricu! ma non ne sapevano ridi nulla: Si attendeva la parte migliore del festino, la processione, per la quale a migliaia i Palermitani più che nei due giorni precedenti, vi si recavano su tramways, su carrozze, su carrette, su sciarabbà ed anche, come suol dirsi volgarmente, a cavallo ai calzoni.
   Nell'attesa, i caffettieri si davano un gran da fare attorno ai pozzi preparando sorbetti e granite; i dolcieri a mettere in mostra i loro biscotti a forma di S con ghirigori bianchi di zucchero, tanto ricercati a Palermo; gli stigghiulara, ad arrostire i loro manicaretti, ai quali più, la voce loro, fa grande rèclame il denso nugolo di fumo che si solleva dai loro fornelli; i pagliacci a ripetere i loro diniccolamenti uniformi, i loro motti stereotipati, le loro eterne sconciature; i caramelai ad intascare i soldarellidei fanciulli che tentano di vincerne qualcuno a la badduzza, specie di dado; alla strummulicchia, trottolino con sei numeri su sei faccette; al firrialoru, roulette primitiva.
   La piazza della Cattedrale, di quella Cattedrale che, secondo un antoci adagio, nessun forestiere che vada a Palermo può esimersi dall'andare a visitare se non vuol guadagnarsi la patente di asino, era tutta di gente, tra la quale passavano silenziosi i devoti.
   Sono le 4 pomeridiane, e molti si avviano alla chiesa della Collegiata. E' questa in sito elevato, con scale esterne difese da balaustre e con un piazzaletto innanzi, pur esso balaustrato dalla parte di mezzogiorno.
   Dietro alla porta principale della chiesa stanno inginocchiati, offerendo il viaggio compiuto, quindici, venti di quei devoti; altrettanti, compiuta l'offerta si stanno calzando a pochi passi da quella.
   La piazzetta mano mano si popola, si riempie, e già si comincia a bussare sommessamente per rispetto al sacro luogo: La piazzetta è già stivata e del ritardo alla desiderata apertura si è impazienti; si sa però, ed un brulichio confuso lo prova, che dentro si lavora a tirare i sette veli, a scendere di su l'altare maggiore il Crocifisso, a piantarlo sullo zoccolo.
   Ad un tratto la porta stride sui cardini e la folla insofferente d'indugio corre verso il Crocifisso. I più agili saltano sullo zoccolo, s'arrampicano sulla croce e commossi di una pietà che devo rinunziare a descrivere, l'abbracciano , l'avvinghiano, le imprimono baci focosi.
   I sottostanti fan ressa per salire anche loro, ma non trovano spazio da mettervi un piede, da farvi penetrare una mano; mentre i fortunati primi si agitano ancora più, ribaciando fortemente, avidamente, le gambe, le ginocchia del Cristo, piangenti di tenerezza. Un fremito investe ogni persona; gli occhi si fan rossi, e gemiti sommessi e singhiozzi infrenabili rompono il religioso raccoglimento di questo primo istante. I devoti succedono ai devoti nei teneri amplessi, agli ardenti baci, pezzuole bianche, scarlatte, turchine volano dal basso all'alto, dall'alto al basso, della folla che le getta a' più vicini al Cristo, i quali raccolgono e palpano  con esse delicatamente le membra adorate, e da questi alla folla, che in punta di piedi, con le mani in aria, le coglie al volo, se le stringe al petto, se ne accarezza mollemente il viso e con glia altri chiede ripetutamente: Grazia Patruzzu amurusu! Il sacerdote custode della Collegiata, di sul zoccolo anche lui, frammisto ai ai devoti, ordina che si metta, che è già ora di condurre fuori la croce, ma nessuno gli bada; prega, si raccomanda invano! Finalmente aiutato dai confrati della Congregazione del Crocifisso, riesce ad ottenere che il ceppo venga sgombrato. Un cenno: e i confrati hanno ammannito le aste provvisorie; un altro: ed il ceppo è già levato da terra e portato di peso fuori la chiesa con la croce tentennante e il sacerdote che cerca di tenerla ferma. La discesa per lo scalone alla sottoposta macchina è disagiata: e Crocifisso e sacerdote attirano gli sguardi trepidanti della folla accalcata alla ringhiera della piattaforma e dello scalone, negli angusti vicoli, negli angoli più riposti, alle finestre e perfino ai tetti delle case. La trepidanza cede alla pietà non così tosto il ceppo è posato, ed il sacerdote non più in pericolo: e più presto che si può, ogni cosa si allestisce per la tanto attesa processione.
   E frattanto in proporzioni maggiori che dianzi ecco rinnovarsi la scena dei baci e delle pezzuole. Ponzando, aggrappandosi l'uno all'altro, a decine, a centinaia i devoti s'incalzano sulla barella. Fino al tronco, guardato da terra, il Crocifisso scompare frammezzo ad uomini, a donne, a fanciulli, a bambini giunti lassù non si sa come, sorrettivi non si sa da chi: e gambe e braccia si confondono, si annodano si avviticchiano in istrane e scomposte attitudini. Le ferite del sacro costato vengono palpeggiate di continuo da dita delicate e da ruvide mani, da fazzoletti nuovi fiammanti e da pannilini sciupati. Il getto pare un giuoco ed è scatto di devozione sincera. Scoppi di pianto accompagnano questo succedersi disordinato di amplessi e di carezze: e un tremito nervoso serpeggia anche nei più forti di spirito soggiogati da quella fede che scuote ogni dubbio.
   Il mio giovane mentore l'accompagnatore del Pitrè) non mi lascia un istante: e vedendomi intento ad osservare i portatori mi appresta su di essi particolarità curiose.
   "Iportatori - egli mi dice - sono ottanta, metà di Monreale, della classe dei carcarara (fornaciari) e di quella dè carrettieri; metà di Boccadifalco e di Altarello di Baida, sobborghi di Palermo. Trà quaranta Monrealesi vengono eletti a vista sei caporali; i primi due anziani, sono detti primari; gli altri, secondari: Tutti si riconoscono al distintivo delle calze, nelle quali ai portatori comuni non è permesso di presentarsi; e sì gli uni e sì gli altri vanno in mutande, il capo avvolto in un fazzoletto bianco, cinta la vita con una fascia rossa, e sotto di essa, pendente un largo e candido tovagliolo come per nascondere le parti inferiori del tronco: foggia questa del tutto simile a quella di certe statue del Crocifisso, la quale io credo imitata per devozione od ossequio.
   " Sotto la bara - prosegue - si dispongono nella seguente maniera: ai Monrealesi spettano le aste anteriori: ai carrettieri la destra, ai fornaciari la sinistra: Ai Boccafalcoti tocca l'asta posteriore di destra; agli Altarellesi la sinistra. I due caporali primari, uno avanti l'altro dietro, guardando il Crocifisso, poggiano le mani sulle estremità delle aste e danno la direzione alla macchina. I caporali secondari toccano l'asta soltanto con la mano destra. 
   " Tutti 80, dal primo all'ultimo, sono confrati a vita, ed il privilegio è ereditario. Al primo genito subentra il secondo in caso di morte o di difetto fisico. In mancanza di figli maschi il diritto passa ai fratelli e ai figli dei fratelli: ed in mancanza di questi, ai maschi della parte femminina.,,
   Come si vede in ordine a diritto di successione, i devoti del Crocifisso di Monreale possono dare dei punti alla Consulta araldica di Roma ed alla Commissione araldica della Sicilia!




 Il Viaggio e la Processione


   Chi ha veduto le processioni ordinarie, anche più solenni, dell'Isola, assiste in questa ad una particolarità commovente. 
   Alcuni giorni prima e dopo il 3 Maggio i devoti hanno ottenuto o attendono qualche grazia fanno il consueto viaggio partendo dalla Collegiata, girando per le vie Veneziano, Nazionale, fuori il paese, contrada Grotta, ritornando per Pietro Novelli, Porta Palermo ecc. e fermandosi dietro la chiesa. Vanno, secondo il voto, in peduli o scalzi, con un grosso cero acceso, con un cartoccio (coppu) per difendersi dalla sgocciolatura e per impedire che il lume si spenga al vento, e recitando sommessamente delle orazioni. Sono raccolti in se stessi e nell'opera loro, e nessuna cosa per via può da essa distrarli. Camminano a uno, a due per volta, ma il loro passaggio è continuo, interminabile, specialmente nelle ore mattutine e serotine. Ora tutti questi devoti, forse nessuno eccettuato, nel giorno e nell'ora della processione tengon dietro al crocifisso in una maniera affatto diversa dalla comune. Sono migliaia di giovinette dai visi malinconici e come assorte in un pensiero molesto; sono migliaia di spose dolenti, di madri dagli occhi bagnati di lacrime; son giovani dalle energiche impronte del viso e vecchi dallo andare affaticato e stanco: e possidenti e poveri in canna e padroni e servi e galantuomini e contadini, tutti accorsi per un principio, quello di rendere omaggio al Signore, tutti mossi da un bisogno, vario di ciascuno, sia quello della sanità del corpo, e l'altro dello scampo da un pericolo, vuoi d'una grazia, o vuoi d'una fausta novella. Non ombra di sfoggio negli abiti femminili, chè tutto è d'una compostezza e d'una semplicità che ricorda il buon tempo antico. Non uno de' cappellini fiorati che lo insano spostamento economico ha imposto sull'ultimo figurino della moda; non un colore chiassoso che offenda la sanità della cerimonia: il che tanto più è rilevante in donne non tutte povere e in popolane che vogliono spocchiarla con la miglior dama. La maggior parte tra esse, molti tra gli uomini, sono a piedi ignudi e non guardano se non al cero che portano, non pensano se non al Crocifisso.
   Diverse le proporzioni, svariate le forme dei ceri, benchè unico il tipo. I più son privi di ornamenti e del peso di uno, due chilogrammi; ma ve n'è da quindici e anche da venti, che a fatica possono esser sorretti dai devoti, pur quando essi ne raccomandino la base ad un'ampia e solida tovaglia legata alla vita o ad armacollo; e questi offrono i più smaglianti ornamenti di carte inargentate o indorate, con intagli a foglia di stelle, fiori, uccellini, rotelle, delle più vaghe forme.
   Singolare è la vista di sì lunga tratta di gente e di tante e sì grosse fiammelle le quali guardate dalla discesa del teatro l'attuale via Garibaldi sembrano una fiumana di fuoco che lenta si muove e lenta procede. 
   Nel più fitto della folla devota l'orecchio non riposa un istante alle ardenti preghiere ed ai piagnistei pietosi.




Santissimu Crucifissu,
esclamano a coro una ventina di donne

   Li vostri grazii sù spissu;
   Prima ca scura sta jurnata,
   Vogghiu essiri cunsulata.

E venti altre con maggior forza:

  Vi salutu, o sagra testa,
  ch'è di spini 'ncurunata;
  Oj ca è la vostra festa
  Vaiu gridannu pi la strata!...

              -  E che cosa gridano queste donne? - Non le
              sentite? - Grazia Patruzzu amurusu! Datimi la
              grazia  di  l'arma  lu pirdunu di li piccati!.  Nè
              si stancano di ripetere per ben cinquanta volte,
              intramezzandola con gloriapatri, la nota cantile-
              na:

- Decimila voti
Sia ludatu 'u Crucifissu.
- E ludamulu sempre spissu
Lu Santissimu Crucifissu!

                 E lo guardano, lo guardano fino a perderci 
                 gli occhi, il Crocifisso. La sacra testa è troppo
                 piegata in giù, perchè il soverchio peso de' 
                 peccati degli uomini le grava sopra prepoten
                 temente e ne accresce la profonda, la immane
                 tristezza. Altra volta non fu così. Il divin capo fu             
                 visto meno accasciato, men abbandonato sul
                 petto, meno oppresso dalle colpe dei peccatori,
                 i quali ne trassero ragione a bene sperare per 
                 l'invocato perdono. Questo si indovina dal sacro
                 volto, dai devoti, che sperano e propagano. 
                 E torno ai confrati.
                                                              
                                               


"Lu stràscicu,,
I fiori del Crocifisso  

   Se essi hanno il privilegio di portare la macchina, hanno anche, cercato da loro, il penoso ufficio di strisciar la lingua sul pavimento della chiesa al ritorno
del Crocifisso. Ho visto questa scena (lu stràscicu) e non la dimenticherò mai più per quanto essa sia addolcita dalla civiltà di un grande centro come Monreale e dalla vicinanza di Palermo. La gente si tira indietro incuriosita e sgomenta lasciando uno spazio libero che basti al libero movimento di questi penitenti: spazio che divide in due gli astanti, e che viene disegnando e formando dalla porta fino all'altare maggiore mano mano che essi si avanzano. A scatti, a sbalzi, essi si buttan carponi per terra con mosse lunghe e rapide strisciando la lingua sul nudo pavimento. Questo è ora in marmo e la lingua non vi si sciupa troppo; ma una volta era in mattoni, e povere lingue a passarvi sopra! Amici pietosi poi han cura di spolverare il terreno, rendendo cos' meno faticosa la pratica e men disdicevole l'effetto su' penitenti e sugli spettatori.
Questi sono sempre numerosissimi, ma quelli scemano ogni anno di numero e, o perchè non si credono grandi peccatori come in alcuni paesi d'oggi e come i loro antenati si confessavano, o perchè l'ambiente morale e religioso in cui vivono non è più quello di una volta, o perchè la chiesa non è disposta a favorire codeste scenate, non sono così profondamente commossi come a certuni potrebbe parere e da cert'altri presumersi. Ogni cosa a tempo e a luogo: e se altrove l'anacronismo si presta a costumanze di questa natura, giova supporre che il luogo ne dia la ragione, il luogo lontano da centri di civiltà, mentre quì in Monreale, nè tempo nè luogo rendono agevole il perpetuarsi di costumi con lo apparato e la intensità del passato riluttanti al buon senso ed alla pubblica educazione. Un'ultima particolarità: la distribuzione dei fiori della macchina.
   Come qualsiasi altra cosa che sia stata a contatto o vicina al Crocifisso anche i fiori si ritengono benedetti e miracolosi; però si dividono tra' presenti al rientrare del simulacro e sono oggetto di gara a chi possa averne di più. In caso di gravi malattie presi in pillola essi guariscono l'infermo.
   Questo in ordine generale; ma nella festa innanzi descritta bisogna cercare altro fatto che spieghi il culto de' fiori del Crocifisso.
   E' fama che quando l'Arcivescovo Veniero si dichiarò guarito della peste, sull'altare nel quale egli celebrava ad ai piedi del Crocifisso fossero sparsi in larga copia fiori di ogni genere, e specialmente rose. Non dimentichiamo che erano i primi di Maggio. In quello istante i fiori benedetti da Cristo furono dal Veniero fatti distribuire tra' fedeli presenti, come preservativi della pestilenza. I fiori operarono, nelle singole case ov'eran portati, il miracolo che l'Arcivescovo avea ottenuto dal Crocifisso: la pestilenza cessò.
   Come non serbare una grande venerazione dei fiori del Crocifisso? Ed ecco perchè nella festa, altare e macchina ne sono pieni; ed a processione finita, essi vengono presi a ruba.
   E non è tutto.
   La tovaglia onde è coperto al basso ventre il simulacro è mirabilissima in certe ferite e in quelle particolarmente d'arme da fuoco e da taglio. Solo all'Arcivescovo è fatta facoltà di concederne il prestito temporaneo a quei fedeli che ne abbiano pressante bisogno. Quella tovaglia si porta in gran devozione da uno o più sacerdoti alla casa del sofferente, il quale ne viene coperto o semplicemente tocco.
   Però non se ne vengano i Palermitani a decantare la loro patrona! Se S. Rosalia opera prodigi, dicono i Monrealesi, il Crocifisso non resta dietro a nessuno: Si Santa Rusulia fa miraculi, lu nostru Crucifissu havi li scagghiuna.


eg/rm    
                                                         



    

XV - ARTE - La "processione artistica" del pittore monrealese SAVERIO TERRUSO




SAVERIO TERRUSO <l'Artista delle Processioni>

Nasce a Monreale l'11 Gennaio 1939.
Frequenta a palermo la Scuola d'Arte fino al 1959.
Si trasferisce quindi a Milano per frequentare a Brera i corsi di pittura e conseguire il diploma.
Dal 1979, titolare della cattedra di pittura presso l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.
Terruso muore il 3 Marzo 2003.





         

                                    
                                            


(Foto tratte dai cataloghi d'arte del Pittore)
  
< Ci sono motivi che raffiorano nella vita di ciscuno di noi. Attimi vissuti intensamente fin dalla più tenera infanzia che si fissano indelebilmente nell'animo e ci accompagnano per tutta l'esistenza e sono contemporaneamente memoria e vissuto attuale, sogno e realtà ricorrente in un intricato e pur armonioso intreccio che dà un senso e un'impronta al nostro esistere.
La grande processione del tre maggio è il ricordo più lontano che io conservo della mia infanzia a Monreale. E' l'evento che in qualche modo ha segnato il mio percorso artistico e non solo. E' il motivo della visione panteistica che predomina nei miei dipinti...>

SAVERIO TERRUSO



La consuetudine religiosa del pellegrinaggio in cammino verso Monreale, il Santuario, la Cttà Santa, ha colpito l'Artista il cui tratto principale è proprio la religiosità popolare.
Il tema predominante della sua pittura è la processione che ogni anno si svolge a Monreale il 3 maggio.
La processione di Monreale, devozione che coinvolge gli abitanti del luogo eredi del culto risalente all'arcivescovo Venero per incidere e tramandare  con il cerimoniale religioso il segno della grande fede.
Terruso ricorda quando la madre era solita ogni anno, andare in processione con i figli tra la folla e dietro il Crocifisso.
Considerata la giovane età dell'Artista, questi ricordi confusi tra lo stupore e l'ingenuità, hanno inciso parecchio nel suo animo e sentito il bisogno di esternarli dipingendoli. <Un sogno ad occhi aperti di un fanciullo> che non riesce a spiegare il mistero della fede. <Uno schietto rendiconto di ricordi e di emozioni>
La teatralità cerimoniale del Venero si trasforma nella necessità di stabilire un rapporto diretto con Dio, attraverso il cammino suggestivo della collettività inserita nel ricordo del paesaggio monrealese  e  dell'oro musivo della Cattedrale.


 La Processione nell'arte di Terruso

























Le Oranti

























 e.g./r.m.