martedì 19 aprile 2011

XIII - "IL TRE MAGGIO" tratto da un romanzo

Il capitolo del Romanzo "DON GIOVANNI MALIZIA" dello scrittore monrealese Giovanni Maria Comandè, descrive la giornata del 3 maggio con gli stati d'animo e le emozioni del popolo monrealese.



Dal Romanzo "Don Giovanni Malizia"
di Giovanni Maria Comandè - Cap. XI - "Il tre Maggio"


***


Spuntava l'alba a oriente e dal campanile della Chiesa del Crocifisso, a Monreale, il più lieto scampanio si scioglieva a distesa spandendo le sue gaie note per l'aria cristallina, sulla città e sulla campagna. Era il giorno della festa più popolare di tutta la contrada, la festa del Crocifisso, la più caratteristica e tuttora la più folkloristica festa che si celebri in Sicilia. E' un pezzo di Medioevo sopravvissuto al Medioevo. E' una festa di fede e una festa di cuori. "Giornata di grazia", la chiamano i fedeli del paese e del contado. Calano con la prima chiara del mattino dai monti e accorrono dalle più lontane campagne frotte di pellegrini a piedi scalzi e con un cero, uomini, donne, vecchi, bambini, per un voto ottenuto o per uno da ottenere. Tutto quello che gli uomini non hanno potuto ottenere dagli uomini, lo domandano a Dio. Che concerto di sospir, di desideri, di ardori, di sentimenti in quelle migliaia di anime che il Tre Maggio si adunano ai piedi del gran Crocifisso! Tutte le scale della Chiesa sono popolate di mendicanti che in toni lamentevoli, sommessi, alti, sgraziati strappano l'elemosina ai passanti.Le fiere dei giocattoli armano i ragazzi di trombette e di tamburelli a doppio sfondo o a sonagli per accrescere il frastuono della giornata, mentre mortaretti e scampaniate e bande musicali finiscono con l'assordare le meglio costrutte orecchie. Dei nostri personaggi i primi a comparire con l'aurora che già arrosa le guglie dei campanili e i tetti delle case vediamo i due sposi poveri<. <ninu Sicarru e Bettina, a piedi scalzi; con due ceri accesi e recidando la diciannovesiva posta di rosario. Hanno ascoltato tre messe e hanno la comunione e per adempire il voto fatto l'indomani del matrimonio, hanno percorso undici chilometri, e sì che Bettina è incinta del terzo mese e deve usarsi dei riguardi per la grazia di Dio che aspetta..... E' proprio vero che prima i conigli e poi i Siciliani Dio l'aiuti! Sono poveri e hanno dato qualche centesimo l'uno a due poverelli della scalinata, perchè "strappavano il cuore" diceva Bettina, col contare le loro miserie. Le case vicina sono il ritrovo di cento comari e cento compari che una volta l'anno calano in paese per il pellegrinaggio a affidano alle donne amiche gli ori che si tolgono d'addosso, perchè tra la folla, anche il giorno del Signore, i marioli e i tagliaborse lavoravano, specialmente i palermitani, che sono i più rinomati del mestiere. In gran corteo viene, intanto, l'Arcivescovo in carrozze settecentesche con valletti in livrea di gala e il Senato Municipale. Tutto il paese s'inginocchia al passaggio del Prelato che benedisce sorridendo... e le campane cantano e le bande suonano e la fede ne è esaltata in tutti quei teneri cuori. Al pontificale si va notando tutta la borghesia rurale: cunpari Mircioni, comare Marianna e Tina con tre belle torce quadrate e un gran mazzo di rose di maggio. Dopo qualche minuto arriva compare Vartulu e Narduzzu con un mastodontico cero ornato di spighe di fiori, e a piedi scalzi. Mircioni  e Marianna hanno da chiedere cento grazie al Signore per la loro campagna, per le messi da cui Gesù terrà lontani i malanni, per le acque che Dio le abbondi sempre e per gli animali ch'Egli li prosperi  nella figliatura e anche per Tina, che Dio la benedica se è destinata al santo matrimonio. Tina raccomanda, con occhi su cui tremolano due lagrime di fede, la salute dei suoi genitori - prima lei e poi loro...- e il suo giudizio a Narduzzu se è destinato a unirsi con lei, un giorno o l'altro, con l'anello nuziale e l'acqua benedetta. Cumpari Vartulu, un poco accigliato un poco supplichevole, in piedi, davanti al simulacro, raccomanda alle piaghe di Gesù Cristo quella santa piaga di sua moglie Lucia, che dopo tanti anni di silenzio, a trent'otto anni e all'ottavo mese non sa più farà a dare alla luce quall'altro innocente mariolo che verrà al mondo, che sia meno screanzato e disobbediente di Narduzzu. Narduzzu, in ginocchio, accanto al padre, ignorando i titoli di cui il genitore lo sta gratificando davanti a Dio, Lo prega e riprega insistentemente di farlo uscire una buona volta dai guai, ora che ventidue anni gli son suonati sul groppone, e promette a buon Cristo un cero di un quintale, se dopo messo al mondo l'immente fratello, i suoi santi rinunziano commissionarne un altro e pensano a sposarlo a quella santuzza di Tina che diciannove anni non li deve fare più. I canonici cantano a piena gola in coro l'organo li soverchia con le sue cento canne e la banda nuova calata da un paese vicino, dalla spianata della Chiesa sconcerta con una marcia spampata il concerto corale sacro, e Narduzzu dubita che il buon Gesù fra tanto frastuono arrivi ad ascoltarlo, e si alza che gli bruciano le ginocchia e le piante dei piedi, con rispetto parlando, al gran cammino fatto. Gran tavolate si stendono, intanto, nelle case e all'aperto e quella grande accensione di cuori è innaffiata da abbondante vino di vigna. Le corse dei barberi con i fantini attraggono i paesani, i campagnoli e i cittadini palermitani che traggono in folla, a piedi, su carretti, in carrozze a godersi l'aria e la festa di Monreale. E' l'ora dei palermitani, questa... E nel mite pomeriggio primaverile un signore vestito di nero e una giovane signora salgono silenziosamente le scale della Chiesa: hanno forse loro pure qualche voto da sciogliere o qualche grazia da domandare. Dopo Paolo, infatti viene a promettere al santissimo e miracoloso Crocifisso due messe basse e una cantata, se suo figlio Totò ritorna al focolare domestico pentito delle scappate indecenti che va facendo in città, e Finezza implora a Dio il perdono del suo fallo, l'amore di suo marito che è fra le grinfie di qualche scostumata e il dono della figliolanza. Don Paolo pregando e Finezza rossa scarlatto e verso la fine piange, sorretta dal suocero. Tutti piangono un poco per la festa del tre di maggio a Monreale: a metà pranzo se suonano le campane, specialmente le donne, smettono di mangiare, si dileguano e vanno a piagnucolare in qualche angolo, dove vanno a snidarle i mariti, dopo bevuto il bicchiere che avevano riempito per la moglie. Ora il gran Cristo è in mezzo alla Chiesa fra alte torce accese, le cui fiamme sventolano fumigando. Scene commoventi e scene raccrapriccianti si offrono allo sguardo: mamme che sollevano i bambini fino ai piedi piagati di Gesù perchè il contatto con il legno santo li benedica, vergini che sciolgono i capelli e si stringono come Maddalena un giorno alle gambe di Cristo, delirando di un delirio sacro che ha radici in chissà quali occulti sentimenti, uomini che vengono a seminar di fiori e di foglie il cammino che percorrerà il simulacro. Due uomini a piedi nudi, prostrati sul lordo pavimento della Chiesa, con orrore e raccrapiccio degli astanti strascicano la lingua dalla soglia all'altare e uno di essi sanguna: chissà quali peccati hanno da scontare a fronte di Dio e di fronte agli uomini. Una nota simpatica e caratteristica della festa sono i costumi orientali dei portatori del Crocifisso: piedi nudi, mutande e camicia bianche, una gran fascia a colore alla vita pendente a un fianco e un turbante bianco al capo: sono un'ottantina che hanno il diritto e il dovere di sollevare il gran Simulacro per eredità che sitrasmette da padre in figlio e non si cede ad altra famiglia, se non per estinzione dei discendenti diretti. La Fratria e la Compagnia sono pronte coi loro camici, le loro cappe e i loro stendardi. La processione sfila. Precedono quattro rimbombanti tamburi sonati da tamburini incappati alla seicento. Si sondano le confraternite e la chiericia va salmodiando. Le vie, i balconi, le finestre, i tetti sono popolati di gente che aspetta il passaggio. Fiori e fronde sono lanciati sulla processione. Fitta calca di popolo fa ala al corteo; il Simulacro s'avanza piano, solenne fra grida e preghiere:
Grazia, Signore, grazia!
   - E che siamo tutti muti?
   - Grazia, Signore, grazia!
     Gli ottanta portatori pigiati alle aste che sollevano il simulacro ammassano il bianco del loro costume, che spicca nello sfondo del gran quadro che si arrossa di migliaia, migliaia e migliaia di luci dei pellegrini che seguono il Crocifisso. Dove strade sono in pendio, il Cristo pare che arda immacolato e intangibile fra una fornace ardente che lo circonda ai fianchi e alle spalle: è una scena indimenticabile. Si notano i pellegrini che sorreggono pesanti, colossali ceri: due attraggono l'attenzione di tutti, per i mastodontici ceri che portano innestati a un cinturone di cuoio: marciano a passo lento e a gambe larghe e quando si vedono impedito il passo dalla calca, fanno segno con una mano, di scostarsi e ci intercalano qualche grosso tarocco: sono i due carrettieri rapinati  che adempiono al voto fatto la sera, che derubati, tornarono a casa più ricchi di quel che dovevano per l'intercessione di Don Giovanni Malizia, che nella contrada di Monreale veniva appena dopo Dio, in autorità e potenza. Vestita a nero, la vecchia madre dell'ucciso Sidoru cercava di calmare la vampa del suo cuore raccomandando a Gesù il suo figliolo e l'uccisore. E quante nerovestite a quella festa! Nella Via Grande del paese la processione s'arrestava per compiere un atto di grande omaggio davanti a un balcone della casa urbana di Don Giovanni Malizia. Tutte le notabilità del paese convenivano ogni anno in quel balcone dove Don Giovanni s'affacciava a capo scoperto in mezzo ai suoi uomini, per inginocchiarsi davanti al Crocifisso Gesù: l'unica autorità a cui doveva rendere conto dei suoi atti, sulla Terra. Alle stremità della ringhiera Brasi e Menico Pancia gettavano sul Crocifisso e sulla folla manate di rose sfogliate e verdi foglie: Menico Pancia aspettava un anno questa data per mostrare a tutto il paese che lui era a casa... Malizia e Brasi che lo sapeva, gli lanciavano occhiate ironiche di cui il ragazzaccio s'insospettiva. Poi si faceva, a quel posto, la volata del Angelo che era un ragazzino calato su alcune corde dall'altro fino a Cristo per gridargli la più ingenua e la più graziosamente balorda serie di strofette, più o meno impappinate. A notte alta si sparano i fuochi artificiali: quest'anno sono ricchi per un abbondante invio di dollari che hanno fatto gli <americani> del Monrealese. Roccu da New-York e lo Sfregiato da San Francisco non erano stati i più modesti sottoscrittori. In quell'eccezionale ribollimento di fede si ridesta anche l'attività criminale cittadina  e forestiera. Si beve, si canta, si suona, si alterca, si ruba. Si tira anche il coltello per le discussioni animate che hanno bisogno di una più spiccata affermazione. Del resto un pò di sangue cristiano è sprizzato alle corse dei cavalli: non c'è sempre qualche cavallo che dà una sbandata improvvisa a destra o a sinistra, e non c'è sempre qualche imbecille, che per vedere meglio si fa avanti e si busca una zampata alla testa o alle gambe. E i buoni fedeli che durante il pellegrinaggio per le strade raccolgono funeste notizie, raccomandano le vittime al Santissimo Crocifisso: ci pensi Cui! Si fanno retate di malviventi. Si grida e si vende torroni, semi con sale e senzasale, focacce da fare sganasciare i forni delle... bocche e gelati. In una casa di signori vicino alla Chiesa della festa alcuni pellegrini, come al solito, hanno deposto scarpe, calze, cappelli e taluni anche ori prima di accingersi al devoto itinerario: una stanza è gentilmente destinata a questo tramestio. Ma non c'è sempre qualcuna che scambia le sue scarpe con quelle di un'altra? E se l'altra ha i piedi più piccoli, <con rispetto parlando>? (Bisogna mettere sempre il <rispetto> quando si parla di piedi in Sicilia). E sul pomeriggio è capitata in quella casa Donna Menica la Strafalaria, una palermitana che ben la conoscono i palòermitani del rione, ma che conoscono i buoni monrealesi. Ha chiesto per favore una sedia: è stanca del pellegrinaggio fatto, narra mirabili dei miracoli del Crocifisso. Le danno da sedere e da bere, per rinfrescarsi. Chiacchera. Piace. Diventa di casa. Aiuta i pellegrini a calzarsi e a scalzarsi. Le affidano la stanza e la pratica. A sera inoltrata, scende un momento in piazza, per comprare una focaccina alla figliola <tornerà subito>. Ma non torna più. Viceversa quando tornano i pellegrini non trovano più scarpine, velette, spille e catene. Ah! Santissimo Crocifisso! In piazza hanno scroccato un orologio d'oro a un allocco contadino, che guardava lentamente la luminaria del Duomo normanno: l'aveva comprato a rate e aveva pagata appena appena le prime due.
  - Che è. Che non è?
    -  Largo, Largo!
    Trasportano un ferito grave.
    -  E come mai? 
    -  Era ubriaco, ha litigato!
    -  Ha! Santissimo Crocifisso, pensateci Voi!
La processione a mezzanotte è ancora in giro: il Cristo è andato fuori porta a sud, per benedire le campagna nordiche e la luminosa città di Palermo: Ci tengono anche i palermitani: E frotte di gente affolla gli stradli, schioccano le fruste e le voci dei carrettieri e le sonagliere dei pomposi muli tintinnano festosamente. Si sparano i fuochi. Suonano le campane. La banda strepita la marcia finale. Stanchi, sfiniti, allegri, abbattuti, commossi, immalinconiti, brilli, hanno dimenticato per ventiquattr'ore i loro guai domestici, sociali e politici nelle piaghe di Gesù Cristo. E non erano una politica sotto le feste dei Borboni?...
Solo all'alba il paesello si sfolla e si rientra nella calma. Tutti russano o giacciono inerti sotto il piombo del più stanco sonno. Ma gli uccelli del buon Dio che hanno cristianamente e pacificamente riposato la notte, pispigliano ora allegramente a coro. Nel silenzio candido e armoniso, un trotto serrato di cavalli attraversa il paese da Porta Palermo a Porta delle Verghe: è una squadriglia di poliziotti che va alla ricerca di un pericoloso emissario liberale mandato in Sicilia dai Piemontesi. Profittando della baraonda della festa era passata inosservata e si diceva si fosse dileguata verso Giacalone: chi andava a trovare? Se lo prendevano vivo, il Direttore della polizia gli  aveva promesso la forca, se non lo prendevano vivo... si risparmiava la corda:<feste e forche> erano due delle tre <f> che sintetizzavano il regime borbonico: la farina funzionava più di rado...  
      

e.g./r.m.